INCONTRARE UNO PSICOTERAPEUTA“Il paziente deve sentire di poter cambiare rimanendo sé stesso” P.M. Bromberg. Molto spesso nella vita di un individuo possono comparire stati di malessere o condizioni di instabilità emotiva ed esistenziale che si manifestano con modalità difficili da affrontare o anche piuttosto complesse da comprendere, che non hanno un origine di natura squisitamente biologica e con una anamnesi difficile da dirimere. Tali malesseri possono comparire attraverso differenti canali sia somatici che esistenziali e possono compromettere l’equilibrio della persona e della sua vita. Questo malessere può avere una natura psichica e cioè proveniente dal nostro cosiddetto “mondo interno” dove risiedono i nostri vissuti, le nostre emozioni, i risultati delle nostre esperienze di vita attuali e pregresse e tutto quello che riguarda il nostro mondo di relazioni. Questo malessere spesso ci parla di qualcosa che facciamo fatica ad ascoltare, riconoscere, valorizzare. Sulla base di questo è possibile trovarsi smarriti e non avere risposte immediate, perché il tempo interno può essere qualcosa di molto diverso da quello cronologico. Dunque, è possibile ritrovarsi a ripetere azioni, abitudini e comportamenti che alimentano il nostro stato di malessere fino a generare in noi uno stato di incapacità a cambiare e rinnovare sé stessi; è questo il momento in cui ci trova a non riconoscersi più nelle proprie risorse e nel proprio Io. E’ proprio qui che deve poter trovare spazio il tema del “cambiamento” a partire dalla nostra identità e senza snaturare il nostro essere e questo spazio può essere proprio quello terapeutico dove l’identità entra e trova uno spazio di accoglienza e di ascolto in maniera autentica e senza giudizio. Questo “spazio” non è solamente uno spazio fisico ma è una dimensione di incontro con il terapeuta che ha una funzione di ascolto e di sostegno alla comprensione del proprio stato interno e soprattutto si genera l’incontro con sé stessi in maniera più profonda e raffinata al fine di riconnettersi alla vita e al proprio benessere. In questo processo il terapeuta è una “levatrice” che aiuta e interviene senza forzature e anticipazioni nella nascita di qualcosa che faticava nel passato a emergere e che certamente giunge a maturazione grazie al “lavoro terapeutico” stesso. |
“Lo spazio terapeutico…uno spazio per incontrarsi”.“Due ballerini si accomodano insieme in una posizione di reciproco ascolto, mantengono una postura propria e differente, animano la loro sensibilità mettendola a disposizione di uno scambio, si ascoltano, si aspettano… I ballerini sono in uno spazio di grande rispetto. Né l’uno, né l’altra anticipa l’evento del prossimo passo, del prossimo movimento, ma insieme si concedono le movenze che a loro sono connaturate. L’uomo dispone, la donna propone. Il tango è un linguaggio e perciò un uomo e una donna che ballano il tango non solo stanno "facendo qualcosa insieme" ma fanno molto di più: “stanno comunicando”. La posizione di chi balla il tango è di frontalità e di mantenimento di uno spazio di vicinanza/distanza fondamentale tra i ballerini, necessario per intendersi. Nel tempo e nello spazio di un tango la relazione che esiste è assolutamente reciproca, recettiva e unica e dunque i due ballano adesso diversamente da come sarà nei prossimi cinque minuti. Uso questa metafora per introdurre un po’ poeticamente per descrivere quello che succede nello spazio terapeutico tra due soggetti che si incontrano in uno spazio (“almeno inizialmente vuoto”) che è possibile abitare grazie all’empatia, e cioè la capacità di essere in contatto con l’altro, riconoscere allo stesso tempo il proprio sentire e il sentire dell’altro, senza confondere mai queste due esperienze interne. Questo rapporto è un rapporto fondato sul sentire e sullo sperimentarsi emotivamente; sperimentare il proprio mondo emotivo è una competenza umana, viva e visibile nei bambini, ma che rischia di essere dimenticata ed ha bisogno di essere riappresa. Sarà all’interno di questo spazio che potrà avvenire anche l’incontro di sé stessi e delle proprie parti intime, nella loro trasparenza e dirompenza. Nello spazio creativo della relazione e dell’incontro, in cui reciprocità e individualità esistono e si mantengono, la persona non abbandonerà ciò che le appartiene ma si creeranno piuttosto nuove realtà e verità che si integreranno all’interno della propria esistenza. La relazione, che si coniuga nella qualità della trasparenza rende, possibile la lettura del proprio mondo interno in termini di emozioni e sensazioni e facilita “l’affidarsi” per poter attraversare e riattraversare territori anche minacciosi della propria esistenza. Sarà presente il bisogno di non perdere il contatto con l’intimità della propria esperienza personale ma si presenterà anche il desiderio di sperimentare altro e gradualmente si declinerà l’avventura del cambiamento personale. Il terapeuta coniugherà in tale disposizione il proprio stile personale e il piacere della sua stessa professione. Sarà infatti proprio il piacere che in questa professione renderà ogni individuo interessante, persona dopo persona, anno dopo anno. Contenuti, problemi e questioni che i clienti condurranno all’interno di una relazione terapeutica potranno essere simili nel loro avvicendarsi, ma diversi saranno i modi di affrontarli e risolverli. I pazienti potranno esprimere le parti più intime e vulnerabili del proprio mondo interno nella fiducia e nella possibilità di affidarsi; tutto questo sarà possibile in un contesto che esprima rispetto e accoglimento. Questo è ciò che rende possibile “l’incontro” che G. Cuomo ha definito come “l’evento”, in cui il terapeuta fa ospitalità e accoglienza in silenzio e senza invadere; l’attesa stessa è un segno di grande ospitalità. Ospitalità: “un nome di dieci lettere è il suo territorio. Abbi cura di ognuna di esse". (da Rovatti, Abitare la distanza, Feltrinelli). Dunque, nel lavoro con il paziente, l’analista svilupperà una costellazione interna di idee, sensazioni, immagini visive, metafore sonore, disposizioni somatiche e percezioni dell’Io che saranno in gran parte preconsce e costituiranno la matrice della comunicazione con il paziente stesso; tutto questo è ciò che contribuirà a “scoprire e creare la propria verità” aspettando anche anni.
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